“L'ho scritto da me stesso. Avevo 26 anni. Albrecht Dürer ”(Das malt ich nach meiner gestalt / Ich war sex und zwenzig Jor alt / Albrecht Dürer). A questa età, Dürer non solo si sposò, ma divenne anche famoso, non solo maturò, ma riuscì anche a realizzarsi come un grande artista, una personalità universale, per la quale la struttura della sua città natale divenne angusta, poiché ora Dürer ha bisogno di tutto mondo. In questo autoritratto del Prado, nello sguardo stesso di Dürer, nella sua postura calma e sicura e nel modo in cui le sue mani poggiano sul parapetto, c'è una dignità speciale e consapevole.
Dürer, al momento della stesura dell'autoritratto, era rientrato da poco dal suo secondo viaggio in Italia. Nel nord dell'Europa, è ampiamente conosciuto come un eccellente incisore, il cui ciclo "Apocalypse", stampato nella tipografia del suo padrino Anton Koberger, è andato esaurito in gran numero.
In Italia, questa culla dell'arte, Dürer viene copiato maliziosamente, e fa causa ai fabbricanti di falsificazioni, difendendo il suo onesto nome, e dimostra anche agli italiani dubbiosi di essere magnifico nella pittura come nell'incidere dipingendo un quadro "Festa del rosario".
Questo autoritratto è una sorta di dichiarazione che Dürer non è più un artigiano (e nella sua nativa Norimberga, gli artisti sono ancora considerati rappresentanti della classe artigiana) - è un artista, e quindi, il prescelto di Dio.
Questa è la consapevolezza di sé non di un maestro medievale, ma di un artista rinascimentale. Dürer, non senza una sfida, si ritrae in un abito italiano, raffinato e costoso: la sua camicia arricciata di seta bianca è decorata con ricami dorati al collo, larghe strisce nere su un berretto con nappe in rima con abiti neri a contrasto, un mantello marrone realizzato in tessuto pesante e costoso è tenuto a livello delle clavicole un cordone intrecciato infilato negli occhielli. Dürer ha acquisito una barba da dandy, da cui, a quanto pare, odora ancora di profumo veneziano, ei suoi capelli rosso dorato sono accuratamente arricciati, il che provoca il ridicolo tra i compatrioti pragmatici.
A Norimberga, sua moglie o sua madre nascose i suoi abiti in uno scrigno: come rappresentante della classe artigiana, Dürer, come scrivono i biografi, non aveva il diritto di concedersi un lusso così provocatorio. E con questo autoritratto, dichiara polemicamente: l'artista non è un artigiano, la sua posizione nella gerarchia sociale è molto più alta. I suoi bei guanti di capretto di pregevole fattura piangono più o meno lo stesso.
"I guanti bianchi, anch'essi portati dall'Italia", scrive il biografo di Durer Stanislav Zarnitsky, "nascondono le mani oneste del lavoratore, coperte di abrasioni, tagli e macchie di vernice radicata". I suoi guanti sono un simbolo del suo nuovo status. Un costoso costume alla moda veneziana e un paesaggio di montagna fuori dalla finestra (un omaggio al mentore Giovanni Bellini) - tutto indica che Durer non accetta più di considerarsi un artigiano di provincia, limitato dalle convenzioni del tempo e dello spazio.
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